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Cineforum
2016
Madri
a cura di
Paola Nucciarelli
Responsabile
Cinema BDS - Soverato
Venivano
chiamate “mule”, “segnate da Dio”, “rami secchi” su
cui non è attecchito l’istinto di maternità. E anche oggi, le
donne che hanno scelto di non avere figli, possono suscitare in
determinati ambienti sospetto e diffidenza, quasi fossero “contro
natura”. Eppure sembra che le “non madri” siano sempre di più.
È un dato che aumenta perché cambiano, specie nei paesi
occidentali, le opportunità e i tempi di raggiungimento degli
obiettivi personali che si muovono verso una maggiore
autoaffermazione: elementi che possono condurre a questo tipo di
scelta, a desiderare di essere una donna realizzata creando una
strada “altra” all’essere mamma, in cui dar voce a un sé
ugualmente complesso, articolato e realizzato senza dover per forza
esprimersi attraverso il concepimento.
Il
contesto in cui si vive può sollecitare bisogni che possono sembrare
istintivi, ma in realtà, spesso sono ETEROindotti.
Si
può affermare che l’istinto materno consista nella capacità
personale e naturale di riuscire a decodificare codici di
comunicazione con il proprio figlio e /o la propria figlia e possa
rappresentare una competenza soggettiva, ma non certo assoluta.
La
competenza affettiva e di accudimento sono caratteristiche emotive e
psicologiche personali che travalicano il genere maschile e femminile
e non certamente esclusive di un ruolo, quello di madre.
Il
concetto di maternità dovrebbe passare da destino a scelta
e anche in questo caso non è detto che tutto fili liscio… che si
possa essere quella che viene etichettata “una buona madre”
a dispetto della “cattiva madre”.
L’idea
di una madre cattiva è insostenibile e distruttiva. Allo stesso
tempo esiste un legame inconsapevole tra il fatto che nostra
madre ci ha dato la vita e quella che ci potrebbe dare la morte. È
il mito di Medea, la madre che uccide i figli.
Non
a caso, nelle favole, la cattiva è sempre la matrigna; un modo per
esprimere la negatività presente nel ruolo senza però intaccare la
figura materna. Questo dimostra quanto difficile sia
manifestare sentimenti negativi verso la madre e quanto sia
difficile affrontare questo tema, sia da madri che da figlie.
Antonella
Lia nel libro “Abitare la menzogna” scrive:
Nel
mondo animale il potere è relegato al controllo del territorio, alla
dominanza sessuale, mai al rapporto con i cuccioli. La madre animale
li difende anche a costo della propria vita, ma appena diventano
autonomi, li lascia andare senza pretendere nulla in cambio.
Nella
famiglia umana il figlio è l’estensione del genitore: anche quando
divenuto adulto, non deve risarcirlo prendendosi materialmente cura
di lui, è comunque obbligato a dargli soddisfazione con il proprio
successo professionale.
Come
se la vita non gli appartenesse.
Talvolta
il genitore pretende riconoscenza dal figlio non solo per averlo
allevato e curato, ma anche per averlo messo al mondo. Proprio come
se fosse un dio, pretende di aver elargito il dono della vita. E
poiché la vita ha un valore inestimabile, il prezzo che il figlio
dovrà pagare sarà immenso e qualunque cosa faccia, non riuscirà
mai a colmare l’enorme debito.
E’
una retorica antica quanto l’uomo, quella della vita come dono,
dell’amore incondizionato dei genitori, dei loro sacrifici,
dell’infanzia come periodo felice e del debito di eterna
riconoscenza dei figli.
E’
una perversa ideologia: il bambino perseguitato viene convinto dai
genitori di meritare le punizioni perché realmente “cattivo” e
ogni violenza fisica o psicologica gli viene somministrata “per il
suo bene” e spacciata “per amore”.
E
questa “ideologia del disamore” capovolge la realtà: è al
figlio maltrattato divenuto problematico perché fatto oggetto di
violenza sistematica, che viene attribuita tutta l’infelicità
personale, familiare e di coppia.
La
rabbia del genitore che ha radici altrove, sfocia sul bambino.
Attraverso
il maltrattamento, la famiglia scarica su di lui tutte le
tensioni, mantenendo coesione tra i coniugi e assicurando continuità
a tutto il nucleo.
E’
un vero e proprio sacrificio umano.
E
che succede ad un bambino sopraffatto, ed in seguito ad un
adolescente represso?
Che
tipo di immagine di sé ne ricava?
E
che fine fa la sua rabbia? … Quella rabbia non scompare, ma
può sfociare in altra violenza. (“Abitare la menzogna” di
Antonella Lia)
A
volte i bambini nascono senza un perché… a volte sono frutto
di violenza, di errori… a volte nascono per cimentare un’unione…
allora si chiamano “atti di amore”.
Comunque
arrivino sulla Terra, i bambini e le bambine sono stati
partoriti/e da una donna, che vive nel suo corpo e nella sua testa
una trasformazione che la porterà a essere altro da prima: una
madre.
Il
tema della maternità cercata e consapevole, non desiderata, non
accettata, o negata, è molto complesso.
Molti
film affrontano questo argomento, da Bellissima di Luchino
Visconti, a Mammina cara di Frank Perry, sulla vita di Joan
Crawford, Sinfonia d’autunno di Ingmar Bergman, Le donne
vere hanno le curve di Patricia Cardoso, Tutto su mia madre
di Pedro Almodovar, Interiors di Woody Allen, Mia
madre di Nanni Moretti, Quando la notte di Cristina
Comencini, Un’ora sola ti vorrei e Tutto parla di te
di Alina Marazzi, I segreti di Osage County di John Wells e
tanti altri…
In
questa sede abbiamo cercato di avvicinare questo “delicato” tema
con la rassegna “Madri” attraverso cinque
lungometraggi.
In
Frozen River la regista Courtney Hunt racconta
l’incontro di due donne provate dalla vita, che con senso di
responsabilità nei confronti dei propri figli, cercano di
sopravvivere e di dare loro un futuro migliore, nel gelido nord
attraverso il calore della solidarietà.
Precious
di Lee Daniels
Tratto
dal romanzo di Ramona Lofton in arte Sapphire, racconta la
storia durissima di Claireece Precious Jones, una ragazza
diciassettenne obesa, e del suo rapporto con la madre.
Quest’ultima ha perso completamente il suo ruolo per sostituirlo
con quello di aguzzina, ma la figlia, che a sua volta è diventata
madre, reagirà a una vita infelice e solitaria grazie al sostegno di
un’insegnante.
Nella
pellicola È arrivata mia figlia di Anna Mujlaert
la protagonista lavora come cameriera e babysitter in una famiglia
agiata di San Paulo in Brasile, e non ha mai accudito alla propria
figlia cresciuta lontana. La figlia è altro rispetto a lei, ma col
tempo le due donne si coalizzeranno per un futuro insieme.
Un
film di grande impatto emotivo è E ora parliamo di Kevin di
Lynne Ramsay. Eva, interpretata dalla bravissima Tilda
Swinton, ha da subito un rapporto più che conflittuale con
il proprio figlio Kevin con cui si troverà sempre più a disagio con
il passare degli anni. Il rapporto malato madre/figlio che si
instaura sfocerà poi nella tragedia, ma alla fine i due si
riconosceranno.
In
Sister di Ursula Meier, Luise e Simon
si passano poco più di una decina d’anni eppure sono madre e
figlio. Simon dodicenne che è, suo malgrado, più maturo
di sua madre “ che neppure lo voleva”, che lo considera “una
palla al piede”, cerca di mantenere la famiglia come può.
Così Simon continua caparbiamente a
rubare come caparbiamente Louise cerca di risolvere la sua situazione
sociale con diversi amori sempre disgraziati come lei. Non c'è
cattiveria, non c’è rabbia, ma solo dolore: quello di Louise per
una situazione che non sa come risolvere ,quello di Simon che con i
suoi furti vuol comprare più che il pane, l'amore, cioè l'essere
accettato in un mondo dove si trova senza sapere perché.
“Non
tutte le donne hanno quella facilità ad accogliere
la vita nuova, non tutte hanno posto nel cervello e fra le braccia,
ancora prima che nel cuore, e armonia nel cucinare mentre il figlio
piange a decibel impazziti. Non tutte hanno l’amore che zampilla
come il latte, anche se credevano di essere pronte. Non tutte
hanno la forza di essere chiamate: mamma.
Non
sarai mai abbastanza brava, mai abbastanza naturale, non farai mai la
scelta giusta, non lo renderai mai abbastanza felice. Ma
resta comunque l’indicibile fortuna di nascere donna”. Come ha
scritto Luisa Muraro,
l’incomparabile capacità di uscire dai labirinti, una grandezza
allo stato puro che non ha bisogno di competizioni, di rincorse verso
la perfezione.
Nelle
pellicole che analizzeremo si respira una profonda solitudine poichè
le protagoniste sono madri sole, abbandonate o non capite.
Nello stesso tempo si percepisce anche una grande forza d’animo in
queste donne che soffrono e lottano anche contro loro stesse e
contro il mondo che le circonda per riuscire ad accettare i propri
figli e farsi accettare, per capirli e farsi capire, per
proteggerli e essere protette, per mantenerli o farsi mantenere, per
amarli e farsi amare. Queste donne/madri che abbiamo presentato hanno
davvero un sorprendente coraggio che a volte ci spaventa, ma che
anche ci rassicura. Alla fine, loro ci sono.
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